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Il non-statuto del non-partito di Beppe Grillo

Grillo Marx

E’ fuor di dubbio che l’idea di un non-statuto, per quella che Grillo stesso definisce una non-associazione, nasce dalla palese necessità di non cadere nel tanto denigrato partitismo che da tempo tenta di combattere e di conseguenza – almeno nella forma – dalle regole che ne sono proprie.

Considero questa sua mossa inevitabile se l’intento, come prospetta il fondatore, sarà quello di inserirsi stabilmente nel panorama politico italiano. Ed è di gran lunga più coerente con tutto ciò che “il Grillismo” rappresenta, rispetto alla boutade estiva della candidatura alle primarie del PD. Quella era una porta d’ingresso sbagliata, e non solo Grillo ne era perfettamente a conoscenza, ma dubito anche che abbia mai voluto aprirla sul serio. Non è un caso che nel suo moVimento non possa entrare chi fa già parte di un (altro) partito politico, e la cosa non deve stupire né scandalizzare. Anzi, è esattamente ciò che accade solitamente: nell’adesione viene riconosciuta non solo un’azione formale, ma anche un appoggio ideologico che dev’essere esclusivo.

Quasi superfluo citare il Piratpartiet svedese – che ha debuttato nel 2006 con meno dell’1% e si è ritrovato la scorsa primavera con il 7,1% e un seggio al Parlamento Europeo – per affermare che l’importanza di internet, la sua capacità di divulgare le informazioni, la sua rilevanza per la creazione del consenso,  non vanno sottovalute. E del fatto che Grillo sappia sfruttare bene queste caratteristiche non si può non tener conto. Abbiamo visto che le “liste a 5 stelle” si sono riuscite a ritagliare qualche spazio degno di nota in alcune grosse città alle scorse elezioni amministrative. Ora si alza il tiro, per guardare in alto puntando sulla “democrazia dal basso” scevra da macchinosi organismi dirigenti e dai condizionamenti vari che distolgono dai problemi reali. Di cui, appunto, Grillo parla costantemente sul suo beppegrillo.it.

Non va santificato per questo, ma per capire come siamo arrivati fin qui occorre almeno avere l’onestà intellettuale di ammettere che Grillo ha rivoluzionato non solo il modo di fare politica sul web, ma ha anche radunato e animato quel folto sottobosco della rete composto da cittadini/navigatori intenzionati ad usare internet per informarsi e contro-informarsi. Ha raccontato le sconcezze di cui il mondo politico inonda quotidianamente il paese trattatando nel contempo temi specifici ed attuali come energia, ricerca, giustizia, ecologia, economia. Ha diffuso tonnellate di informazioni – spesso “scomode” – che con difficoltà sono reperibili sui media mainstream. Ha poi preso qualche cantonata, ma nulla che gli abbia impedito di incassare e consolidare una sproporzionata credibilità, anche grazie al fatto che la politica convenzionale non fa nulla per meritarsela. Per fare un esempio, uno dei risultati è, nei fatti, che una parte considerevole del suo popolo dei grillini è disposta a reputare vero a priori il contenuto di qualsiasi catena di Sant’Antonio che contenga nell’incipit le parole “come dice Beppe Grillo sul suo blog…”. Infine, ultimo ma non per ultimo, Grillo ha iniziato ad utilizzare il blog come veicolo di contenuti politici, nonché come non-luogo di aggregazione, discussione e iniziativa, quando ancora i partiti su internet erano – se c’erano – solo primordiali miscugli di comunicati stampa e faccioni sorridenti fotoritoccati.

La nascita ufficiale del moVimento è  come un esperimento a metà. Da una parte c’è la base di partenza, tutt’altro che incognita o incerta: la rete. Se ne conoscono nel dettaglio usi, target, potenzialità, pregi, difetti, peculiarità. Dall’altra c’è la politica, quella vera e vecchia, fatta di decisioni, intoppi, compromessi, macchinosi artifici. Ed è lì che Grillo tenta di irrompere. Ma la politica come la conosciamo noi, nel nostro hic et nunc,  è solo uno dei tanti modi in cui può essere concepita; è quello a cui siamo riusciti arrivare in millenni di storia. Vista così, non è poi un granché di risultato. Siamo solitamente portati a pensare che, per quanto possa essere malfunzionante, il nostro sistema (mi riferisco in generale a quello applicato nelle c.d. democrazie occidentali) sia comunque il migliore, ovvero il massimo compromesso tra rappresentanza e sovranità popolare. L’evoluzione è comunque tutt’ora in corso, non è ancora finita e se tutto va bene mai finirà: prima o poi si dovrà tener conto dei mutamenti della società cui la politica è applicata nonché del progresso tecnologico che oggi permette di fare cose che fino all’altro ieri erano non soltanto impraticabili, ma addirittura inimmaginabili; progresso che domani permetterà di farne altre ancora, più velocemente, e – viene da sperare – decisamente meglio.

In una interessante puntata di Report di qualche tempo fa si è accennato tra le altre cose a metodi sperimentali di democrazia partecipativa. In poche parole significa che c’è qualcuno, come il Prof. Sintomer del Centre national de la recherche scientifique di Parigi, che studia forme innovative in cui possa esprimersi la sovranità popolare. Una di queste prevede che una selezione casuale di cittadini, estratti a sorte in un campione sociale molto ampio e adeguatamente informato, si confronti con le istituzioni che lo rappresentano partecipando alle decisioni. Creare una terza Camera composta a random da cittadini non qualificati può sembrare un’ipotesi bizzarra o futuristica. Magari lo è oggi in Italia, ma possiamo star certi che prima o poi ci saranno nazioni che modificheranno il proprio ordinamento per adeguarsi ai tempi moderni sfruttando ciò che di buono l’era digitale può offrire. Lo ha già proposto in Francia Ségolène Royal, e com’era immaginabile non senza suscitare vivaci polemiche.

Ogni tanto c’è chi vuol far politica alla vecchia maniera, e allora decide di entrare in un partito. Io, nel mio personale hic et nunc, ho individuato nel PD il mezzo per fare la mia politica. Tale partito non rispecchia affatto il 100% del mio pensiero, delle mie priorità, della mia idea della società o della vita, né mai lo potrà fare. E’ dunque il meno peggio, ma non lo affermo con il tono dimesso e scoraggiato di chi non ha trovato di meglio. Semplicemente, la strada che si sceglie è quella che si sente più affine, ma non per questo è un ripiego. E’ fisiologico: si cerca, tra le alternative, quella che maggiormente combacia con sé stessi, cercando semmai di migliorarla con la propria partecipazione attiva al fine di indirizzarla e forgiarla secondo i desideri soggettivi. Da qui nasce l’aggregazione: dal compromesso reciproco. In alternativa, se rifiutassi questa teoria, potrei fondare il mio movimento proprio come lui. Una volta allargata la base dovrei prima o poi mettere in discussione le mie idee per consentire la partecipazione degli altri – che non è mai incondizionata – e per non correre il rischio di esser tacciato di totalitarismo. A questo punto potrei puntare sulla democrazia totale, mettendo direttamente in mano alla base ogni singola alternativa; e con le tecnologie attuali è fattibile.  Ma cosa accadrebbe se un giorno la base optasse per un indirizzo diametralmente opposto al mio?  E siamo così sicuri del fatto che se è la collettività stessa a gestire le scelte che la riguardano, ciò costituisca garanzia sufficiente a ritenerle univocamente giuste, e giuste per tutti? E ancora, per quanto tempo il meccanismo potrà resistere prima di incepparsi e degenerare in un caos immobilizzante?

Queste le finalità all’esperimento in corso: vedremo che fine farà l’ambizioso progetto sul medio e lungo periodo, scoprendo se e come sarà il movimento di Grillo a cambiare la natura della politica oppure la politica a cambiare la natura del movimento di Grillo. Per sapere se è sul serio realizzabile, qui e ora, un progetto di partecipazione e condivisione che non passi dagli apparati che costituiscono lo stato attuale delle cose bensì nasca e si sviluppi da una base così ampia e informata da costituire in sintesi un’unica intelligenza capace di scegliere solo ed esclusivamente per ottenere il bene comune.

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2 commenti

  1. Ciao Giorgio!!!
    Sono il tuo omologo… hhh ;-))
    Posso dirti la mia??

    Per me la Democrazia è(o dovrebbe essere…) questo:

    i politici sono dei dipendenti pubblici,definiti dal popolo,il cui compito è quello di ratificare(sotto forma di leggi) le richieste/volontà del popolo Sovrano espresse tramite INTERNET & REFERENDUM.

    Punto.
    End sub

    ciao!!!!!!

  2. Pingback: Niente lista a 5 stelle per le Regionali | il blog di Giorgio Montanari - Consigliere Comunale a Imperia

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