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Ma che Racz

Si chiama Karol Racz, detto Faccia da Pugile perché ha la faccia da pugile: brutta sporca e cattiva. È in Italia per fare il pasticciere e abita in un campo nomadi vicino a Roma. Un giorno arriva la polizia e lo chiude in una stanza buia con le sbarre alle finestre. Gli parlano italiano, ma lui non capisce l’italiano. Allora gli parlano romeno, ma lui non capisce il romeno. Capisce solo il dialetto della Transilvania, come Dracula, ma lui giura che non ha mai morso nessuna donna che non fosse d’accordo. Lo accusano di averne morse addirittura due: una ragazza al parco della Caffarella, una signora al quartiere Primavalle. La tv mette la sua faccia dappertutto. I giornali scrivono che lui è un «mostro» e i poliziotti degli «instancabili segugi». La signora di Primavalle lo va a vedere in galera e sviene. È lui è lui, dice. Poi ci ripensa: ma forse no. Allora gli fanno l’esame del Dna. Il risultato è che non ha morso né la ragazza né la signora. Però magari ha guardato chi le mordeva, pensa la polizia. E lo tiene dentro per 35 giorni. Trentacinque giorni tiene dentro Karol Racz, cittadino dell’Europa Unita, incensurato. Poi due romeni confessano e lui passa dal carcere al salotto di Bruno Vespa, con tante scuse.
Il suo avvocato dice che adesso potrà chiedere i danni. Ma a chi? A giornali e tv che lo hanno condannato per la sua faccia? O agli «instancabili segugi» che hanno creduto alle false confessioni? Karol Racz ai danni preferirebbe di gran lunga un posto di lavoro. Pasticcieri, mettetelo alla prova: non morde.

(Massimo Gramellini su La Stampa)

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