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Franchising politico

Ieri Alessandro è entrato nel merito della questione del finanziamento dei partiti con relativo “emendamento UDC” che restringe il campo di applicabilità solo ai soggetti che dispongono di uno Statuto, di fatto tagliando fuori il partito di Grillo.

E Beppe Grillo ovviamente ne ha parlato sul suo blog, dove – udite udite – ammette che il famigerato “Non-Statuto” del M5S in realtà “è uno Statuto a tutti gli effetti”. Non solo: dice che il M5S i soldi non li vuole, salvo poi incazzarsi comunque contro l’esclusione. Il motivo è chiaro: si fa più notizia (e una migliore figura) a rifiutare dei soldi piuttosto che a non riceverli nemmeno. Soprattutto se si viene escusi perché nel proprio Partito (o se preferiamo possiamo chiamarlo Movimento, Gruppo, Consorzio, o qualsiasi altro equivalente) non è prevista statutariamente nemmeno la dose minima di democrazia interna.

Attualmente il M5S è un partito sotto molti punti di vista, con tanto di dislocazione territoriale e unicità del marchio. Marchio che però è di proprietà del Sig. Grillo, che lo concede in franchising laddove ritiene di volerlo fare e ne proibisce l’uso quando non gli sta più bene (o quando così gli consigliano quelli della Casaleggio) arrivando a espellere senza dare spiegazioni chi non si allinea. E anche questa faccenda è citata sempre nello stesso post di Grillo di cui sopra; perché alcuni nodi iniziano a venire al pettine. Per approfondire: questo e questo articolo de Il Fatto Quotidiano.

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